La mia fede ha bisogno degli altri?

Di Sandro Ferrari
Ogni anno la comunità di San Fermo si dà un tema sul quale far partire la propria riflessione per l’anno eucaristico. il titolo del tema scelto quest’anno per il percorso con i ragazzi è “La mia fede ha bisogno degli altri?”. La domanda ci interroga sul senso e sulla misura della nostra partecipazione ad una comunità con la quale si condivide una fede. Porsi oggi una tale domanda è arduo in quanto il processo di secolarizzazione e la marginalizzazione del ruolo della religione in occidente è sotto gli occhi di tutti. Se proviamo ad osservare tale fenomeno con occhi distaccati, scavalcando luoghi comuni e condanne morali, spesso più espressione di una paura del cambiamento che da una reale razionalizzazione del fenomeno, forse possiamo trovare risposte utili per ciascuno di noi. Si parla molto della società materialista i cui nuovi templi sono costituiti da stadi e centri commerciali ed è un fatto che tali luoghi sono molto più frequentati delle chiese e dei santuari nei giorni festivi. Ma è il materialismo che ha scalzato l’esperienza spirituale e religiosa, o è tale esperienza che è tramontata, essendo diventata incapace di soddisfare un nostro bisogno profondo, spingendoci altrove a cercare risposte alle
nostre domande esistenziali? Gli apostoli e i discepoli incontrando Gesù si appassionavano, volevano seguirlo spinti da un grande entusiasmo e motivazione. Le parole di Gesù colpivano l’immaginazione ed il cuore delle persone che lo ascoltavano. Non era l’astratta elaborazione di un pensiero morale o un senso del dovere che teneva i suoi seguaci legati a Gesù, anzi la presenza stessa di Gesù sfidava il pensiero ortodosso del tempo, costringeva la gente a rimettere in discussione il proprio concetto di giusto e ingiusto, di morale e immorale. Malgrado ciò, superando il conformismo del tempo, lo seguivano. Se quindi oggi l’esperienza di essere cristiani sta diventando sempre più problematica è forse perché parole, riti, formule e atteggiamenti che noi cogliamo dentro la Chiesa non sono più capaci di stimolare in noi l’entusiasmo e la motivazione. Sono infatti incapaci di dare risposte ai nostri bisogni reali, alle nostre domande ultime. Parlano forse un linguaggio che non ci appartiene più, che sentiamo lontano dal nostro senitre quotidiano. Il senso di precarietà e insicurezza che pervade la società moderna non trova più rassicurazione e conforto in questa Chiesa, che così finisce per diventare esperienza marginale nella nostra vita. Ma quali sono le nostre domande? Cosa cerchiamo dentro la Chiesa, dentro la comunità, dentro un sistema di relazioni? Cerchiamo un senso per la nostra vita? Cerchiamo rapporti, la cui profondità sia capace di superare la barriera che ci costringe alla solitudine? Cerchiamo una rassicurazione che plachi l’ansia di vivere? Cerchiamo un’esperienza che superi il quotidiano per spingerci verso il trascendente? Ha ancora senso di parlare di Dio? Possiamo ancora farne esperienza o Dio è morto definitivamente? E infine, può ancora una comunità trovare il coraggio
di esprimere i bisogni e le domande più profonde, alle quali trovare delle risposte nell’esperienza comune di fede? Non si tratta di ricevere la risposta che noi vorremmo, ma di sentire che le nostre
domande e i nostri bisogni trovano ascolto e attenzione. Per questo rivolgiamo un caldo invito a partecipare nella giornata della comunità del 22 settembre e l’ncontro della comunità del 17 novembre. Vi aspettiamo numerosi, poiché è dalle domande di ciascuno che una comunità trae l’energia per rimanere viva.
