Divagazioni sulla fede nell’età della crisi (anche della fede)
Di Giangabriele Vertova
L’anno in corso è stato proclamato da papa Benedetto come l’”anno della fede”, indetto per i 50 anni del Concilio e anche i 20 del Catechismo della chiesa cattolica. Siamo in attesa dell’enciclica che, preparata da Benedetto, sarà firmata da papa Francesco. Spero che l’attenzione sia portata poco sui contenuti dogmatici della fede (tutta la storia del Cristianesimo ha riflettuto e litigato su questo), ma che si rifletta in modo approfondito sulle sue radici. Non è certo male ripensare il Credo, non solo per tentare di tradurre nella nostra mentalità e nel nostro linguaggio i suoi venerabili articoli, definiti per lo più allo scopo di mettere paletti ed evitare sbandamenti unilaterali (eresie), ma anche per convincerci che ogni tentativo di rinchiudere il mistero di Dio e del Divino in qualche formula è inevitabilmente inadeguato: ciò vale sia se diciamo che Dio è onnipotente (allora perché non ci preserva del male, se può?) ma anche se diciamo che è fragile e impotente (se no come crea il mondo, come può salvarci?).
Se resta giusto e salutare imparare, capire e insegnare il Credo, penso che più delle definizioni sono importanti le narrazioni: se scegliamo la ricerca di fede, bisogna studiare le storie della Bibbia e imparare a raccontare anche le nostre storie. Nel Credo non si parla del Dio di Abramo, del Dio di Isacco e del Dio di Giacobbe, che pure è il Dio della nostra storia come di quella di Gesù; non vi compare cioè quello che, da sempre, è presentato come il modo paradigmatico per riferirsi al Dio biblico. Nel Credo non ci si riferisce neppure agli atti e alla predicazione di Gesù. Vano sarebbe trovarvi le Beatitudini, o altre parti del «Discorso della montagna», vale a dire la «Magna Charta» del Cristianesimo. La radice della fede sta nella parola di Dio. E questa ci insegna che si possono certo insegnare i contenuti della fede, ma la fede non si trasmette, perché non si trasmette l’atto di affidarsi proprio del credere. Si possono trasmettere i racconti, le prassi e gli insegnamenti che rendono possibile la fede, ma il credere dipende da una scelta del «cuore».
Dal Vangelo noi comprendiamo che fede significa affidare a Dio la propria vita. Il tema è squisitamente personale. Paolo De Benedetti, alla domanda: Lei crede in Dio? Una volta ha risposto: Un giorno un po’ di più, un giorno un po’ di meno. La fede è scelta e difficoltà quotidiana di ciascuna persona, è responsabilità e problema suo. Per questo è senza senso la frase, tante volte ribadita, detesto la Chiesa, quindi non credo. Mio padre mi diceva: è come uno che, in odio alla moglie che lo ha tradito, giunge ad evirarsi. Ma Il tema è anche comunitario. Noi ci teniamo alla nostra fede. In base alla fede sappiamo che Dio ama gli uomini, li vuole salvi, dona a loro il suo amore, chiede solo che questo amore e questo perdono lo doniamo agli altri. Per questo siamo dispiaciuti del fatto che molti, soprattutto giovani, non si interessino alla fede e siamo un po’ sconcertati di fronte all’evidenza che anche la nostra Bergamo è stata toccata dalla secolarizzazione, un po’ più tardi rispetto ad altre realtà italiane. Dal Rinascimento in poi l’uomo ha preso in mano il proprio destino, dall’Illuminismo ha pensato di costruire progetti di liberazione collettiva per salvarsi: il progresso, la rivoluzione, lo sviluppo economico … Di fronte alla modernità la Chiesa, nostalgica della sintesi medioevale, da Trento fino al Vaticano I si è messa in posizione di contrapposizione e di condanna. Sentendosi più forti con la logica dell’ arroccamento alcuni movimenti cattolici di oggi insistono ancora sulla contrapposizione e si organizzano come cordate, sette o partiti. Ma il Concilio Vaticano II ha rovesciato questa posizione, ha guardato con simpatia al grande processo di emancipazione umana. Il Concilio ha inteso riconciliare la Chiesa con la modernità, ha affermato con grande forza la libertà religiosa e di coscienza, ha aperto percorsi laici …
Il Concilio voleva essere pastorale, ma questo processo di aggiornamento non era così indolore e tranquillo come qualcuno lo intendeva. Certo, l’intenzione era di cambiare il linguaggio che rivestiva il dogma immutabile, ma tutti comprendiamo bene che cambiare il linguaggio non è solo cambiare qualcosa di accessorio: il linguaggio è il corpo delle cose e dei concetti, non solo la veste. Per questo nel postconcilio questo lavoro di aggiornamento è andato avanti troppo lentamente. Questo indugio ha creato problemi aggiuntivi alla fede, che per lo più usa un linguaggio obsoleto e vecchio. E nelle comunità cristiane non è mai all’ordine del giorno la costruzione di una spiritualità laica cristiana, ovvero di una pratica di fede calata nell’impegno prosaico quotidiano: ne è segno evidente non solo il fatto deprimente che continua a diffondersi l’uso consolatorio e alienante della religione (Il Giornale di Berlusconi che sponsorizza Medjugorie, in collaborazione con l’ineffabile Radio Maria, vorrà dire qualcosa …), ma anche che, perfino su temi fondamentalmente laici come la lotta contro la mafia o contro l’emarginazione, ci sembri più facile la celebrazione di figure eroiche di preti piuttosto che la discussione critica all’interno delle comunità cristiane su cosa possa fare ciascuno nella sua realtà sociale, politica, professionale… Nel corso del 900 comunque, sotto i colpi dei totalitarismi, di tragedie come Auschwitz e Hiroshima, sono crollate le ideologie del progresso e della modernità. Nel postmoderno il 2000 si è aperto sotto il segno della paura del futuro. Restano ancora dominanti i
miti della scienza e della libertà. Il mito della scienza: l’evoluzionismo pretende di spiegare da solo tutto. Il perno delle argomentazioni atee è il concetto di prova. Se nessuno ha visto Dio vuol dire che non c’è. E’ facile controbattere che dal punto di vista epistemologico le scienze sono del tutto inadeguate ad approfondire le questioni di senso, ma nell’opinione pubblica (disinformata …) certe semplificazioni fanno presa. Per cui c’è chi crede di difendere la fede ricorrendo a suggerire l’ipotesi Dio, in questo caso l’ipotesi del disegno intelligente, che contraddice un principio scientifico (il rasoio di Occam: non serve introdurre ipotesi se se ne può fare a meno). Già Karl Barth osservava che il mistero di Dio non può essere ridotto a una ipotesi scientifica, come se potesse essere messo sotto osservazione e verifica! Soprattutto il mito della libertà. L’affermarsi del capitalismo liberista come unico pensiero ha fatto sì che del grande progetto illuminista (liberté, égalité, fraternité) si sia imposto ormai come valore unilaterale quello della libertà intesa individualisticamente. Questo individualismo non è fondato concettualmente (nessuno di noi è mai veramente e totalmente autonomo), ma la pretesa è molto diffusa! Si separa la libertà dalla responsabilità: quante volte abbiamo sentito l’espressione: si ha il diritto di sbagliare! E la Chiesa certo non aiuta quando pretende di dettare le norme etiche invadendo la sfera della libertà … L’anticlericalismo è spesso anticristianesimo superficiale, ma reagisce alla presunta minaccia alla libertà. L’edonismo è il criterio di vita più diffuso. Nel campo educativo sono
pochi quelli che si preoccupano di fondare percorsi basati su idee e valori, i più si rassegnano a enfatizzare le emozioni. L’indifferenza diffusa e prevalente denuncia la crisi della ricerca di senso e di verità. Mentre le ideologie moderne contestavano nella fede falsità e alienazione in nome della verità, la crisi contemporanea dichiara il suo disinteresse nei confronti della fede perché non si cura della verità e del senso. Lo stesso ateismo ha perso la sua forza, è debole, la morte di Dio avviene nella pratica, per assenza di inquietudine religiosa. Il nuovo ateismo è fenomeno esistenziale e affettivo.
Eppure anche la nostra epoca è un kairòs, un passaggio salvifico, non dobbiamo tornare a sentimenti preconciliari di rimpianto del passato. C’è la tentazione di usare la religione come facile consolazione, come tranquillante, magari rilanciando le tradizioni popolari o i culti di nuove apparizioni. Invece il grosso lavoro da fare è la critica delle idolatrie (esplicite o no) dei miti contemporanei, ma soprattutto contenute nelle tante idee religiose di Dio, un dio distante e antagonista dell’uomo, non il
Dio di Gesù. Non credo che ci siano facili scorciatoie, faticosa sarà la costruzione di percorsi liberi di ricerca che si confrontino con la ricchezza della vera tradizione, quella biblica, dei Padri, dei Santi, delle altre religioni. Si tratta di accettare di dare forza seriamente critica e problematica all’identità di fede.
A me sembra che i bisogni spirituali siano molto diffusi. Di fronte al cosmo non appare insensata l’idea di un Dio-energia, ma come si potrebbe interessare alle cose umane? Eppure l’uomo sembra fatto in
modo tale da non poter trovare senso se non nell’Altro. I passi del mio vagare tu li hai contati, nel tuo otre raccogli le mie lacrime: non sono forse scritte nel tuo libro? (Salmi 56,9). Sottotraccia, retaggio più o meno consapevole della narrazione biblica e dei movimenti politici di sinistra resta la domanda di una possibile giustizia e quindi la ricerca di un impegno credibile per cui valga la pena di vivere. L’ultima parola sulla storia è la vittoria della sopraffazione? I bambini di Auschwitz e i poveri del mondo non
avranno riparazione?
Diffuso mi sembra il bisogno di accettarsi, di perdonarsi. La coscienza di una vita fragile avvolta in un nulla potenziale può provocare l’angoscia e, per superarla, la ricerca dello stordimento. Oppure può sfociare nel riconoscimento che l’uomo è donato a sé stesso. E’ esperienza meravigliosa quella di scoprirsi creato dal nulla, preservato dal nulla, ma di essere un dono donato a se stesso e amato da Dio. Il Vangelo libera dal senso di colpa e di inadeguatezza. Il messaggio cristiano è il mondo a rovescio, non un Dio che chiede o pretende che lo si preghi, ma un Dio che prega l’uomo che si lasci riconciliare con Lui. E’ una pretesa scandalosa e assurda anche oggi, come ai tempi di Paolo. Anche oggi la via della fede non è quella di puntare sulla debolezza dell’uomo, per usare la religione come facile sicurezza, ma sulla scandalo del Vangelo. II Corinti 5, 19: Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. I Corinti 1, 22: Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani …