A proposito di memoria
Di Antonella Fermi
Per quanto non sia mai superfluo, per quanto in ogni tempo sia in agguato il rischio di sottovalutarla, tuttavia confesso che a volte mi sembra persino troppo facile riaffermare la necessità della memoria.
Memoria che abita e nutre storie e storia, memoria personale da curare e proteggere, memoria collettiva, sempre da elaborare, rileggere, verificare. Memoria antidoto alla morte. Impensabile sminuirne il valore.
Ma la memoria ha anche un volto oscuro, nasconde insidie e trappole, contiene germi di decomposizione. Ho visto il ricordo, la pietà per le vittime farsi giustificazione per la rappresaglia e l’oppressione. Ho visto, sulla terra violentata dei Balcani, la memoria erigere luoghi di preghiera a presidio di occupazione prepotente del territorio. Ho visto il dovere del ricordo imposto ai piccoli come nutrimento di vendette future. E nella nostra società, assai meno tragica, in questo tempo di crisi nella vita del Paese e delle persone, mi sembra in agguato un tipo di memoria troppo legata alla nostalgia, che misura la novità col metro del benessere passato, che trasforma il desiderio in rimpianto, che sogna un domani come una riedizione di un ieri, magari idealizzato e mitico. Una memoria pericolosa e paralizzante, tenacemente aggrappata alla conservazione di sicurezze, vere o presunte, nemica dell’immaginazione e della creatività. Allora, forse, non basta dire che la memoria è necessaria: occorre pensare a che qualità deve avere, al fatto che non solo c’è un tempo per ricordare e un tempo per dimenticare, ma anche che ci sono cose da tenere nella mente e nel cuore ed altre da lasciar andar via; che occorre una sapienza nel viverla e che la memoria è salvifica e pericolosa, dà vita e uccide, consola e amareggia, apre e chiude strade. Ambigua, ambivalente, come ogni cosa pienamente umana.
Mi pare che, sia nelle relazioni personali che in ambito sociale, ci sia bisogno di una memoria accogliente, che sappia ascoltare e confrontarsi con la memoria dell’altro, profondamente consapevole che ricordare è sempre selezionare e quindi capace di riconoscere la parzialità del proprio punto di vista, di restituire legittimità e diritto al vissuto di ciascuno e desiderosa di completarsi nell’incontro.
Una memoria che non si fa gabbie, né di ferro né d’oro, del passato, ma riesce a salvarne la ricchezza, a custodirne i semi di bene e a curarne la crescita, anche e soprattutto quando va in direzioni inattese.
Una memoria capace di stupore. Nelle relazioni con noi stessi, con gli altri, col mondo, anche con Dio.
Perché se “Ricorda, Israele!” è il comando centrale di tutta la Bibbia, se è vero che la fede si fonda sulla memoria di una promessa, si radica in un’alleanza d’amore di cui fare ogni giorno memoria vivente, ci è detto anche: “Non ricordate più le cose passate! Non pensate più alle cose antiche! Ecco, faccio una cosa nuova; proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” Se è indispensabile innestare nella memoria il presente e il futuro, è forse altrettanto importante coltivare un’attesa che salvi la memoria dai suoi
peccati.