Riflessione sulla celebrazione della Messa – 5 MAGGIO 2016
A partire dallo scorso anno liturgico abbiamo messo in atto alcuni cambiamenti nel nostro modo di celebrare l’Eucarestia.
Si è trattato di modifiche in alcuni gesti e formule, in una scansione in parte nuova dei diversi momenti della liturgia, in una maggiore esplicitazione di significati.
Abbiamo cercato di trattare con delicatezza, umiltà e rispetto, ma anche con coraggio e cuore sereno il delicato e imponente patrimonio che ci è stato trasmesso dalla tradizione, consapevoli dei nostri limiti, ma anche della responsabilità di renderlo vitale per noi oggi.
L’intenzione era ed è quella di sottolineare meglio il senso della celebrazione ed in particolare alcuni aspetti che qui ricordiamo brevemente (N.B. se ne trova una spiegazione estesa nel giornalino della Comunità, N°33 del NOVEMBRE 2014, reperibile nel sito).
1 – La gioia per un invito che prescinde dai nostri meriti: ci riconosciamo convocati/e, attesi/e, desiderati/e e reciprocamente ci accogliamo.
A questo incontro portiamo la densità delle nostre vite e delle vicende del mondo, le mettiamo davanti al Signore e le condividiamo con i fratelli e le sorelle.
2 – La consacrazione non è rito magico, misterioso: è il racconto del dono totale di Gesù, attraverso le parole e i gesti che egli ci ha lasciato e chiesto di compiere in sua memoria. È l’intera assemblea che celebra l’Eucarestia, per il tramite del sacerdote.
3 – Nel nostro linguaggio parole come ‘sacrificio’, ‘vittima immolata’ possono risultare fuorvianti: il padre di Gesù e nostro non chiede sangue per riscattare i nostri peccati e le nostre debolezze, chiede amore, chiede adesione alla vita e alla morte di quel suo unico figlio amato che non ha esitato a donare per amore nostro tutto se stesso.
4 – La comunione è l’invito a tutte e tutti a partecipare alla cena del Signore: “Prendete e mangiate…”. È aiuto per tutti/e, non premio per i buoni.
5 – L’esperienza condivisa della presenza concreta di Gesù nell’Eucarestia ci chiama al cambiamento e ad una vita nuova proiettata verso l’esterno, nella condivisione.
Riflettendo sull’esperienza dei mesi trascorsi, esprimiamo una valutazione in gran parte positiva, proprio nel senso che la liturgia com’è ora ci sembra esprimere meglio i significati sopra espressi.
Tuttavia si può fare di più e meglio, soprattutto nel rendere più corale e partecipata la celebrazione e, nello stesso tempo, evitare un eccesso di parole che rischia di impedire la concentrazione su quanto è essenziale ed importante.
Abbiamo individuato alcuni spunti di riflessione e suggerimenti:
- La “memoria degli eventi”, inizialmente pensata come un breve ricordo di alcuni fatti salienti della settimana, rischia di trasformarsi in un’ulteriore omelia. Inoltre sono quasi sempre i preti ad incaricarsene, per mancanza di altri/e che se ne assumano il compito.
- Come per la pulizia della chiesa e la preparazione delle messe da parte dei gruppi, si potrebbe organizzare un calendario in cui ci si assuma a turno il compito di ricordare con semplicità e brevemente due o tre avvenimenti dei giorni trascorsi;
- Sarebbe bello che, dopo il commento alle letture fatto dal celebrante o dal gruppo, altri/e intervenissero, a mettere in comune i pensieri, le interpretazioni diverse della Parola ascoltata. Perché questo accada, occorre certo disponibilità e fiducia nel mettersi in gioco, ma è indispensabile che l’omelia non sia troppo lunga. Perciò chiediamo a chi la prepara di contenerla in un tempo di 15 minuti, abbandonando la preoccupazione di essere esaustivo/a nel commento.
- Poco per volta, potrebbe diventare abituale utilizzare questo spazio per esprimere le riflessioni. Attualmente viene a volte usato a questo scopo il momento della Preghiera dei Fedeli, che potrebbe così tornare ad essere riservato a brevi preghiere e intenzioni;
- La memoria della Cena è il punto centrale della celebrazione. L’essere tutti/e attorno all’unico tavolo rende il senso della comunità celebrante, la sobrietà dei gesti mira a togliere al rito ogni aura di magico e misterioso. Ma forse si rischia di farla scivolare via senza il giusto rilievo, anche perché viene dopo le molte parole dei momenti precedenti.
- Ci vogliono spazi di silenzio per restituire ai gesti e alle parole spessore e profondità;
- Abbiamo costruito una sorta di “canovaccio” con alcune parti fisse (per quel tempo liturgico) ed altre più strettamente riferite alle letture del giorno. Da qualche tempo i gruppi biblici, a turno, si sono incaricati della preparazione dei testi.
- Non dovremmo avere la preoccupazione di variare spesso, nel timore di essere ripetitivi: piuttosto vale la pena di dedicare tempo a costruire (o riprendere) testi significativi e condivisi (ad es. il Credo) e lasciarli in uso per più tempo.
Cosa ne pensate? Avete altre idee in merito?
Fateci sapere nel modo che preferite: parlando con qualcuno/a di noi, mandando una mail, o (meglio ancora) partecipando agli incontri del Consiglio, che sono sempre aperti a tutte e tutti.