Don Franco Perdonimi – Sessant’anni di sacerdozio tra don Primo e padre David Maria Turoldo
Di Lino da Caravaggio
Quando abbiamo iniziato il nostro cammino a San Fermo, circa quarant’anni fa’, avevamo preso contatto con un gruppo di Caravaggio che stava iniziando un cammino analogo al nostro. Era accompagnato da don Franco che qualche volta abbiamo anche incontrato. Ora gli amici del gruppo di
Caravaggio ci mandano questa pagina che ricorda i 60 anni di prete di Don Franco. La pubblichiamo per chi di noi ancora ricorda quegli inizi.
Durante questo mese di giugno la piccola chiesa di San Bernardino a Caravaggio onora con elevazioni musicali e celebrazioni eucaristiche i sessant’anni di ministero sacerdotale di don Franco Perdomini.
Attraverso questi eventi e alla sua ufficialità si vogliono onorare i comportamenti, i sentimenti e le calde utopie di un sacerdote che alcuni anni or sono, non troppi, volle ritrovarsi nella figura di Elia che pur
essendo stanco per le tribolazioni della vita, riprende il cammino. Un prete, dunque, che dinnanzi alla prospettiva del lasciar perdere – diceva nell’omelia per il suo ottantesimo – sente ancora l’urgenza (leggi: vocazione) di “camminare, andare avanti, ma senza il timore di essere buttato fuori… di essere messo ai margini, di essere guardato con sospetto dai benpensanti”. “Camminare”: parola carissima che don Franco ha appreso seguendo le tracce di don Primo Mazzolari, suo “fratello maggiore”. Con lui ha imparato a tenere il passo, il passo lungo delle scelte evangeliche urgenti da testimoniare e da realizzare: ”camminare-diceva Paolo VI di don Primo- avanti con un passo troppo lungo e spesso noi si stentava a tenergli dietro… E così ha sofferto lui e abbiamo sofferto noi”. Tenere il passo di don Primo ha significato per don Franco partecipazione profonda e coscienza vigile dei problemi del tempo storico che si vive,come ha ripetuto mons. Bettazzi nella prefazione alle omelie di don Franco: ”don Franco è un attento lettore dei Documenti del Concilio Vaticano II ..e con il Concilio richiama la centralità della coscienza, il ”nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio” (GS16). Fare un tratto di strada per don Franco ha significato ripercorrere le principali urgenze del prete di Bozzolo: il servizio ai poveri, la pace, il primato della coscienza e l’obiezione di coscienza. Le iniziative caravaggine di don Franco ,dalle scuole popolari alle feste dei Popoli a San Bernardino trovano qui la loro ragion d’essere. Oggi che don Franco compie sessant’anni di sacerdozio e il suo passo rallenta un poco, rimane dalla sua diuturna frequenza di don Primo, che ha fatto suo il modo di essere sacerdote del prete cremonese: come don Primo, oggi vuole essere un prete dal “cuore di carne”. Don Luisito Bianchi, altro prete cremonese, di don Primo ha detto: ”Ecco non si dovrebbe dimenticare ..che don Primo ebbe un cuore di carne”. Ecco non va dimenticato: oggi ascoltare don Franco a san Bernardino è ripetere quello che osava dire una parrocchiana di don Primo, la Nina:” Questo prete ha del cuore fino in bocca”. Un cuore che pulsa di sessant’anni di sacerdozio costruito attraverso avvenimenti e persone.
“Sperare”: è il verbo che don Franco ha vissuto con padre David Maria Turoldo. Indelebile ancora oggi nella memoria di don Franco. A tal proposito si sente dire da don Franco: ”Raccontare, padre David: quante sere ,fino a notte, a raccontare”. E così don Franco racconta il dispiegarsi della speranza in Turoldo: dalle le parole tradotte dei salmi ,dai versi asciutti che d’un baleno s’accendono di stupore e di meraviglia: ”Io non ho mani che mi accarezzano il volto” alla salmodia della speranza: ”Torniamo a sperare come primavera torna ogni anno a fiorire”. Si viene così a percorrere le strade che hanno portato a San Egidio don Franco e i giovani caravaggini negli anni in cui esse si infiammano di
immaginazione; anni, quelli del vento per la chiesa, non vento di tempesta, ma vento di Pentecoste e vento del Concilio. Si sale ,di nuovo, a san Egidio e si sente il commento di padre Turoldo sulle parabole e su quella del samaritano “Un uomo scendeva da Gerusalemme… un uomo, capite, senza aggettivi, senza qualifiche”. Cronaca minore racconta don Franco per dire della speranza di Turoldo: del tavolo ”,un grande tavolo nella casa di Betania, intorno al quale si conviene da ogni dove il sabato sera per la lectio” e delle mani di padre David “delle grandi mani che tracciano per aria le speranze di un mondo nuovo”, prontamente riprese da don Franco nelle sue omelie: ”Gesù è l’inizio di possibilità nuova… Quando tutto sembra finire… c’è la possibilità di un inizio…l’inizio della buona notizia”. Con padre David don Franco ha percorso le strade di tutti ,con tutti, al di là delle appartenenze: ”Strade di rumore ,di polvere di fatica e di fraintendimenti”, ma anche degli abbracci insperati: prima padre David abbracciato dalle calde mani del cardinale Martini, poi don Franco dai suoi amici dalla chiesa in
Cremona. E ora che tipo di speranza comunica don Franco in questi tempi di stenosi ,di rassegnazione? La speranza della quotidianità: ”Il cristiano è sempre in cammino per la costruzione della chiesa ,cioè di una umanità accogliente, non più ossessionata dalla brama di accumulare, ma finalmente aperta alla condivisione delle gioie e delle pene, delle ansie e delle speranze”(don Franco Perdomini,”Camminare in una vita nuova”. Commento alla Liturgia festiva Anno B 2008-2009, p. 89). La speranza della quotidianità è il secondo lascito, dono di don Franco di sacerdote che compie sessant’anni di ministero: continuare a cercare ”in giorni di stanchezza e di assopimento, i motivi per tornare a seminare nelle proprie coscienze la “parola di vita”, ritornare a Gerusalemme a respirare l’aria del Dio che libera”(Per un’ultima parola in don Franco Perdomini,”Camminare in una vita nuova”. Commento alla Liturgia festiva Anno B 2008-2009). Sessant’anni di sacerdozio in breve :un cuore di carne che torna a respirare l’aria di Gerusalemme.