VOLTI CAPACI DI ACCOGLIENZA E VERITA’
di Don Omar Valsecchi
Impressioni di don Omar dall’incontro con la Comunità di San FermoLa vera ricchezza di una vita che possa definirsi autenticamente umana si misura non sulla personale disponibilità di beni materiali ma sulla rete di legami e sulla diversità di relazioni che si è riusciti a costruire. L’anno che sto vivendo mi permette di dare ancor più carne a queste parole che rischiano di suonare retoricamente con il tono banale e sterile di uno slogan. E i primi passi di questo “mio” anno di ricerca li ho silenziosamente e – spero – leggermente vissuti nella vostra comunità di San Fermo. Vi confesso che ogni volta che passavo accanto alla chiesetta di San Fermo negli anni addietro mi si poneva l’interrogativo di cosa ci fosse dietro e dentro a quel piccolo luogo, sapendo peraltro solo tramite voci traverse che era divenuto spazio “alternativo” di ritrovo, di comunità, di chiesa per un gruppo di persone a partire dagli anni immediatamente successivi al Concilio. Quella curiosità non ha però mai avuto possibilità (o sarebbe forse più corretto dire piena volontà) di concretizzarsi in una conoscenza diretta. L’esperienza che mi è data la possibilità di vivere lungo questo anno ha rappresentato per me l’occasione propizia, il tempo opportuno per dare spazio a questo sguardo. Quel che sto vivendo è un cammino di ricerca, incontro e conoscenza con esperienze comunitarie – sul panorama ecclesiale nazionale – che hanno tentato o stanno continuando a sperimentare una alternativa possibile dell’essere-chiesa nel mondo, ovvero l’aspirazione verso un volto più conciliare delle nostre “strutture pastorali” che risultano, il più delle volte, segnate da retroterra tradizionalistici sacrali e devozionali, da una concezione fortemente clericale e una faticosissima rimessa in discussione di tutto ciò che è istituito e tramandato (spesso acriticamente) dal passato. Ed ecco che in quella chiesetta posta sull’angolo destro della strada ci ho messo piede, occhi, e permettetemi di dire – senza enfasi – anche cuore. Per la verità prima di immergermi nella chiesa di pietra ho incontrato una chiesa di persone. Eh già! Il mio primo approccio alla vostra comunità, infatti, è per me avvenuto anzitutto attraverso alcune cene e chiacchierate già da alcuni mesi a questa parte con Aldo, Biagio e Maria (senza trascurare e dimenticarmi di Bono che vive con loro). E poi ci sono state le esperienze di vita comunitaria a Frerola con i ragazzi della cresima e a Rota Imagna con i bambini della prima comunione. Dopo l’incrocio coi volti delle generazioni più giovani è avvenuto anche l’incontro con la comunità riunita nella chiesa di San Fermo per la celebrazione dell’eucaristia domenicale. A sigillo della prima conoscenza con la vostra comunità ci sono state le due fraterne giornate a Rota con tutti i ragazzi della catechesi. Pur essendo state relativamente poche e per certi aspetti anche un po’ fugaci (per colpa mia) le occasioni di incontro avute con voi, posso assicurarvi di non avvertire nemmeno un briciolo di retorica nell’affermare che mi ci sono affezionato. Quello che più ho apprezzato è la sensazione di essere stato accolto con delicatezza e sensibilità, senza pregiudizi, senza cortesie di facciata. In taluni casi ho ricevuto anche l’interessamento discreto, l’attenzione e la vicinanza libera e leggera al mio percorso di ricerca. In una parola mi sono sentito fratello. E cos’altro può donare di più grande e credibile una famiglia, una comunità che ha l’audacia di auto-definirsi cristiana (e forse spesso dovremmo stare attenti nell’attribuirci da noi questa identità) se non questo sentimento di fraternità. Ho scorto nel vostro essere comunità il frutto di un cammino di consapevolezza, maturazione e verità. Si avverte il respiro di un coinvolgimento corale, di una compartecipazione responsabile orientata all’edificazione di un reale essere chiesa. Ho letto tra le righe delle vostre storie anche alcuni tratti irrinunciabili: la centralità della Parola di Dio e la possibilità per tutti di leggerla, comprenderla e amarla; lo slancio ecumenico per un reale dialogo tra le diverse chiese cristiane; l’apertura ai bisogni degli ultimi; la sensibilizzazione sulle tematiche della giustizia e della pace in particolare per i popoli più dimenticati e negati (la questione palestinese in primis); uno stile celebrativo che sia il più inclusivo possibile; dare il più possibile linguaggi e tratti umani agli spazi celebrativi; una fede che sappia parlare alla vita perché se ne lascia da essa interpellare e convertire. Ora, detta così sembra la comunità perfetta, in realtà tutti sappiamo benissimo che non esiste alcuna possibilità di ideologizzare la realtà, pertanto queste sono solo parole gettate un po’ alla rinfusa che non intendono negare che ci sia anche la presenza di limiti da non vedersi come negatività o aspetti problematici bensì come la caratterizzazione tipicamente umana delle nostre vite. Siamo irrimediabilmente limitati, le nostre debolezze sono segno della nostra autenticità! Nel desiderio (che avverto essere reciproco) di poter avere successive occasioni per incontrarci e conoscerci maggiormente vi ringrazio per il tassello che avete rappresentato all’inizio di questo mio cammino di ricerca. Non sono mai riuscito a fare gli auguri di Natale e credo non riuscirò nemmeno in futuro… mi pare una espressione tanto abusata e convenzionale che, proprio per questo, fatica a dire qualcosa di vero, non mi riesce di sentirla mia e percepirla adeguata a quel che si sta vivendo in quei giorni; pertanto concludo semplicemente esprimendo la speranza che quel desiderio di Dio di manifestarsi nuovamente nella tenerezza di un fragile bambino possa essere accolto in ciascuno di noi come possibilità per ricominciare ad amarci partendo dalle nostre fragilità e piccolezze. Dio sceglie continuamente di amarci, e si contempla lui stesso, nelle nostre povertà!